Tra i Morsy della fame
Il mondo sta cambiando rapidamente e con esso cambiano le nostre abitudini alimentari, tanto a Torino, quanto al di fuori dei nostri confini cittadini. Il prepotente ingresso nelle nostre vite della dinamica del delivery è un perfetto esempio di quest’evoluzione. E se a cena di mese in mese si bruciano nuovi record, a pranzo invece resta una dinamica decisamente meno consolidata. Per parlare di questo e altro abbiamo intervistato Carlo Alberto Danna, CEO e Founder di Morsy.
D: Partiamo ovviamente dal principio, come nasce Morsy?
C: Dopo una precedente esperienza con una startup, incubata a Londra, sempre attiva nel settore del delivery che, pur avendo ottenuto inizialmente un finanziamento da Just Eat, non ha retto l’impatto dell’agguerritissima concorrenza, ho iniziato con alcuni colleghi a riflettere su un dato: a pranzo, nonostante sia il pasto più spesso consumato fuori casa, sono richieste appena 1/10 delle consegne rispetto alla cena. Questa contingenza è dovuta a diversi fattori che caratterizzano l’idea che il comune cittadino ha del pranzo, ovvero che deve essere economico, non fare ingrassare, essere discretamente salutare e deve dare una soddisfazione di livello piuttosto alto rispetto al costo. Non solo, provando a pensare di perforare quel mercato va tenuto in conto anche che la concorrenza è oltremodo feroce tra bar, ristoranti, supermercati e mense aziendali, tutti pronti a contendersi al ribasso una grande quantità di clienti.
Quello che mancava era però un player di qualità nel mondo del delivery ed ho deciso che era giunto il tempo, all’alba del 2018, di provare una nuova avventura, anche capitalizzando la precedente esperienza nel settore, e così nasce Morsy.
D: Se però il settore non era stato sfruttato non saranno mancate le criticità…
C: Ovviamente si sono immediatamente presentati dei problemi da risolvere per dare il via ad un servizio di questo tipo; ostacoli complessi, ma non certo insormontabili. Il primo, che in realtà riguarda tutto il settore del delivery, è che mediamente una persona non è disposta a pagare per il servizio di consegna. Normalmente le piattaforme superano questo problema rincarando i prezzi dei piatti sul menù e/o sfruttando i loro impiegati, ma né la prima né la seconda erano opzioni a mio parere viabili. Cosa fare quindi per mantenere dei prezzi competitivi? L’unica via è limitare il servizio offerto: dal punto di vista delle consegne, concentrarsi quindi su luoghi frequentati da più persone, in questo caso le aziende; da quello dell’offerta, limitare il numero dei piatti acquistabili. Va da sé che producendo un numero limitato di pietanze ogni settimana e cucinandole su larga scala è possibile ridurre i costi e offrire piatti preparati con ingredienti freschi e di qualità, che vengono poi abbattuti e consegnati freddi, in confezioni riciclabili e a prova di batteri. Un secondo problema annoso è dato dalla richiesta di una consegna rapida, che è stato risolto sempre grazie alla limitazione del numero di tappe dei corrieri, i quali possono così servire tutti i clienti in una fascia oraria ben definita che coincide con la canonica pausa pranzo.
D: La chiave risiede dunque nel migliorare l’efficienza di preparazione e consegne?
C: Esattamente, ma senza far mai mancare la qualità. Poter seguire il processo produttivo sin dalle prime fasi, selezionando ingredienti, digitalizzando ogni componente possibile e tenendo sotto controllo la questione delle consegne. Un’ulteriore decisione poi per aumentare la qualità del servizio è stata evitare prodotti normalmente cari a prezzi bassi, ad esempio il salmone, mantenendo sempre un controllo altissimo su quello che i nostri clienti mangiano. Una scelta questa che ha pagato, fidelizzando una clientela che ora crede nella qualità del nostro servizio.
D: Ma lo smart-working, in grande ascesa, non rischia di far collassare questo modello virtuoso?
C: Ad una prima impressione si potrebbe ovviamente pensarlo, ma non è affatto così, anzi questa tendenza ci sta portando non pochi vantaggi competitivi. Innanzitutto abbiamo attivato un servizio di home delivery per coloro che lavorano da casa e si trovano nelle zone delle aziende servite per non far perdere loro questo benefit aziendale. In secondo va considerato che lo smart-working, oltre ad essere impossibile per molte realtà aziendali che si basano sulla produzione, quasi mai raggiunge una quota del 100%, soprattutto per questioni di team building. Ora, se una mensa aziendale vede i suoi introiti minati da uno smart-working anche parziale, noi invece non ne soffriamo grazie ad una flessibilità superiore, dovuta al non essere ancorati ad una singola realtà aziendale. Per le stesse questioni di affiatamento del team, peraltro, un benefit aziendale come il nostro è ideale per creare un’atmosfera più informale tra i dipendenti e aiutarli a fraternizzare tra loro.
D: Questi dunque gli orizzonti per il futuro… magari anche in qualche altra città?
C: Una domanda questa che casca proprio a fagiolo, infatti abbiamo appena trovato la nuova figura di City Manager che ci permetterà di estendere il servizio anche a Milano. Per questa nuova tappa del percorso di Morsy abbiamo però due notevoli vantaggi strategici: in primo luogo la presenza della sede di molte aziende che già serviamo a Torino, ma anche il fatto che la spesa in welfare aziendale a Milano è molto più alta che qui, dunque un servizio come il nostro dovrebbe poter trovare terreno fertile. Se gli affari continueranno ad andare bene, come ovviamente spero, si potrà puntare in seguito anche all’estero, ed in particolare al Nord Europa, dove manca una vera e propria cultura del cibo, soprattutto in pausa pranzo; molto più complesso sembra invece portare più a sud questo tipo di servizio, dove il tessuto imprenditoriale è molto diverso e più ancorato al passato.
D: Concludiamo con una domanda un po’ originale, qual è il più grande difetto di Morsy?
C: Mi è onestamente difficile dare questa risposta dal mio punto di vista, ma per quanto mi riguarda probabilmente si tratta della complessità della gestione di un così alto numero di impiegati, non che siano particolarmente indisciplinati, intendiamoci, ma da un gran numero di persone non possono che derivare situazioni impreviste o di difficile gestione. Mi piace però l’idea di concludere con un vantaggio più che con uno svantaggio e devo dire che uno senz’altro apprezzabile è che l’azienda non abbia bisogno di un’eccessiva quantità di marketing per sopravvivere, trattandosi di una B2B (business to business), e non di un B2C (business to consumer). Penso che non si sbagli infatti chi dice che il B2B è per guadagno, mentre il B2C per la fama.
È evidente che alla fama Carlo preferisce la fame. Altrui.
Davide Cuneo