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La mela ed il mito. Il mito del lavoro dalla Genesi ai giorni nostri

Una delle rappresentazioni dell’inizio della storia dell’umanità è la scena di Adamo che viene cacciato dal Paradiso terrestre per aver mangiato una mela. Una punizione severissima e un mito quasi incomprensibile ai giorni nostri: Adamo viene condannato a lavorare e Eva a partorire con dolore perché sfida l’autorità divina sul campo della conoscenza, o perché semplicemente non rispetta le regole e si fa vincere dal desiderio.
L’umanità potrebbe iniziare da qui, o rischia di iniziare da qui, se non fosse che negli anni questa idea del lavoro come condanna viene superata, restituendo centralità alla conoscenza e dignità alle umane occupazioni. Nonostante il legno dell’umanità sia storto, come è noto, siamo riusciti anche a superare un’altra verità storica che spesso tendiamo a rimuovere: il disvalore di un lavoro che era il destino e la condanna di chi non era libero, ma ridotto in schiavitù, o semplicemente era al fondo della scala sociale. Un’idea altrettanto inconcepibile nei tempi nostri, tempi in cui il lavoro è praticamente un tutto positivo ed indistinto che redistribuisce le risorse e il senso sociale, deriva dal merito e genera l’unico valore possibile, quello della crescita economica e dell’inclusione sociale.
Si pensa che il mondo nuovo, quello delle macchine e dei dati e degli algoritmi che puntano all’infallibilità, possa essere un contemporaneo in cui l’uomo, fallibile, è finalmente “liberato” dal lavoro. Un mondo in cui le persone contano perché producono dati e non manufatti. Ed in cui la tecnologia rende tutto più facile, accessibile, sicuro e veloce. Ad oggi il mondo nuovo è semplice utopia, in transizione continua e alla ricerca di senso, senza il quale non c’è conoscenza e non c’è innovazione. Domani non sappiamo. Con buona pace di Schumpeter oggi si distrugge, ma non si ricrea, al massimo si ricombina e si cerca di un paradigma che dia una chiave di
lettura possibile alla velocità di questo cambiamento.
“Si va verso il futuro solo se con lo sguardo ben ancorato al passato”. La storia è ricca di avvenimenti che danno l’opportunità di riflettere sulla vita collettiva, riproponendo questioni attuali e sempre aperte. Il festival del Classico, giunto alla sua quinta edizione parla del presente attraverso la storia e la rilettura dei “classici”, e spinge verso il futuro con lo sguardo ben ancorato al passato.
Luciano Canfora, ordinario di Storia Antica all’università Aldo Moro di Bari è il presidente onorario dell’iniziativa che quest’anno al Circolo dei Lettori di Torino ha affrontato il tema del lavoro rileggendone le rappresentazioni, dalla Genesi ai giorni nostri, e cercando nella storia gli strumenti per capire dove si va oggi e dove si potrebbe andare domani.
Negli ultimi anni è sembrato che sia la conoscenza sia il lavoro fossero usciti dal dibattito e soprattutto dal discorso pubblico, per rientraci nel forme semplificate che dal dopo pandemia sono diventati veri e propri Hype sui social. ll lavoro è cambiato e sta cambiando da tutti i punti di vista, si parla oggi di felicità, di soddisfazione personale, di bilanciamento dei tempi di vita e di lavoro, ma non si torna all’utopia del non lavorare. Se prestiamo attenzione davvero e senza pregiudizi alle ultime tendenze YOLO, dobbiamo ammettere che siamo di fronte non ad un esercito di opportunisti e cazzaroni viziati, ma a rivendicazioni di senso che siano coerenti con il mondo nuovo e con il suo modo di attribuire valore alle azioni e alle cose del quotidiano. Il dibattito che semplifica e polarizza il mondo giovanile in bamboccioni e sfruttati è ingenuo e non porta da nessuna parte.
Di sicuro non aiuta a capire come mai il lavoro è povero e come mai la gente si dimette.

Genesi 3:16-24

16 Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà».
17 All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare,
maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.
18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre.
19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!».
20 L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi.
21 Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì.
22 Il Signore Dio disse allora: «Ecco
l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!».
23 Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto.
24 Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita.

Edoardo Valle

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