NFT, CRIPTOVALUTE E METAVERSO – La nuova corsa all’oro?
“Il modo migliore per predire il futuro è inventarlo.”
–Peter Ferdinand Drucker
Negli ultimi mesi è un continuo parlare di NFT, criptovalute e Metaverso: un nuovo Eldorado, secondo alcuni, una grande abbuffata di economia del riciclaggio secondo altri.
La verità, a parere di chi scrive, utilizzando un’efficace immagine di Gary Gensler, professore di blockchain al MIT e capo della SEC (la Consob americana), è che, se è sicuro che il mondo cripto è un Far West, tuttavia, è anche certo che non si tratta di una bolla speculativa.
Volendo ricorrere ad un’analogia storica recente, molto probabilmente stiamo vivendo una situazione comparabile a quella della nascita del www agli inizi degli anni ’90, la quale ha generato una corsa all’oro che è miseramente finita agli inizi del 2000, a causa dello scoppio della bolla delle dot com, che aveva fatto supporre la fine del www.
Questo scenario, come oggi sappiamo, non ha significato l’eliminazione del web, che ha continuato a prosperare così tanto che, dal web 1.0, statico degli inizi, si è successivamente passati al web 2.0, quello dei social media, e ora si parla comunemente di web 3.0, quello nato sull’onda delle blockchain e delle criptovalute.
Lo scoppio della bolla delle dot com ha, piuttosto, prodotto un assestamento, una sorta di distruzione creativa, che ha tagliato i rami secchi e permesso all’industria basata sul www di fiorire.
Ma scopriamo insieme e in modo didascalico di cosa si tratta.
La Blockchain
E’ un enorme registro digitale le cui voci sono raggruppate in “blocchi” e la cui inalterabilità è garantita dall’uso della crittografia: una struttura dati condivisa e “immutabile”.
In sostanza è composta da innumerevoli database digitali condivisi, sicuri e immodificabili, dove vengono registrate transazioni di ogni tipo. Questo strumento sta iniziando a rivoluzionare moltissimi settori.
Da un punto di vista pratico, la blockchain elimina – o comunque riduce – gli intermediari e velocizza tutta una serie di pratiche.
Le criptovalute
Le criptovalute, come ad esempio i bitcoin, sono token fungibili, cioè caratterizzati dalla sostituibilità, creati su blockchain permissionless, vale a dire non soggette ad autorizzazione per quanto riguarda l’accesso.
Dal punto di vista legale, le criptovalute sono beni immateriali. L’Agenzia delle Entrate, però, ha stabilito che, nella dichiarazione dei redditi, debbano essere inquadrate come valuta estera. Dal fatto che le criptovalute siano beni e non moneta legale consegue che non possano essere inquadrate nell’ambito applicativo dell’art. 1277 c.c.: non si può obbligare il creditore di una somma di denaro ad accettarle per l’adempimento di tale obbligazione e non sono soggette al principio nominalistico.
La primissima definizione delle criptovalute è quella fornita dal FATF, Financial Action Task Force, che è l’ente internazionale deputato a realizzare le linee guida sull’antiriciclaggio, nel 2018: “a virtual asset is a digital representation of value that can be digitally traded, or transferred, and can be used for payment or investment purposes. Virtual assets do not include digital representations of fiat currencies, securities and other financial assets that are already covered elsewhere in the FATF Recommendations”.
Tale definizione ha fatto in un certo senso scuola. Tutte le successive fonti normative a livello internazionale, incluse quelle emanate dalla UE e dall’Italia, che si sono cimentate nel definire le cripto-valute o i crypto-assets, vigenti o in corso di approvazione, l’hanno sostanzialmente riutilizzata quasi copiandola letteralmente.
È da evidenziare, in ogni caso, che “assets” in inglese sta per “beni” e “attività”, termini con evidente maggiore ampiezza semantica rispetto a “valuta”.
Secondo la Consob: “il termine si compone di due parole: cripto e valuta. Si tratta quindi di valuta ‘nascosta’, nel senso che è visibile/utilizzabile solo conoscendo un determinato codice informatico (le c.d. ‘chiavi di accesso’ pubblica e privata, in linguaggio ancora più tecnico).
La criptovaluta non esiste in forma fisica (anche per questo viene definita ‘virtuale’), ma si genera e si scambia esclusivamente per via telematica. Non è pertanto possibile trovare in circolazione dei bitcoin in formato cartaceo o metallico.
Alcuni concetti tradizionalmente utilizzati per le monete a corso legale, come ad esempio quello di ‘portafoglio’, sono stati adattati anche al contesto delle monete virtuali, dove si parla di ‘portafoglio digitale/elettronico’ (o wallet digitale/elettronico o semplicemente e-wallet)”.
In ogni caso, si tratta di una nuova categoria di investimenti altamente speculativi, che comportano un alto rischio di perdere l’intero capitale investito.
Gli NFT
I non fungible token, per gli amici “NFT”, sono token – tradotto in italiano: gettone –
non fungibili contenuti all’interno di blockchain come Ethereum o Solana. Il token è un oggetto digitale attribuito in via definitiva a un indirizzo della blockchain e creato attraverso uno smart contract, cioè un programma scritto in un linguaggio di programmazione come Solidity o Rust. Le criptovalute bitcoin o ether, sono token fungibili e divisibili, mentre gli NFT sono token non fungibili, vale a dire insostituibili e indivisibili.
L’insostituibilità significa principalmente la possibilità di contenere link univoci a file digitali depositati su cloud o su IPFS, che è un cloud decentralizzato peer to peer. Il file digitale che appare quando si guardano i marketplace viene spesso confuso con il concetto di NFT. In realtà è un file esterno alla blockchain, linkato in modo univoco dal NFT, ma contenuto in un cloud esterno o su IPFS. Tale file non è tecnicamente parte del NFT, cioè del token non fungible, ma solamente “linkato” da tale token. Tuttavia, in senso lato, si può dire che chi compra un non fungible token, compra anche una copia del file a esso linkato.
In altri termini, chi compra un NFT compra un “pacchetto” composto da almeno due elementi:
1) un non fungible token
2) una copia del file a esso linkato, depositato su cloud o IPFS.
Metaverso
Il termine Metaverso – per gli anglofoni Metaverse – è stato utilizzato per la prima volta dallo scrittore americano Neal Stephenson nel romanzo di fantascienza Snow Crash (1992) per descrivere una realtà virtuale, accessibile attraverso internet, dove si è presenti nelle forme di un avatar.
In senso lato, si parla di Metaverso per designare le interazioni che avvengono negli ecosistemi digitali, popolati di NFT e avatar digitali, come le gallerie virtuali o la creazione di videogiochi. Si parla anche di digital twin (gemello digitale, in inglese) per riferirsi alla copia digitale di oggetti del mondo fisico.
Un Nuovo Mondo?
La domanda è legittima. Questo insieme di concetti, così pervasivi che partono dal mondo digitale per entrare prepotentemente nel mondo reale, fa pensare ad un nuovo mondo con logiche proprie.
In parte è vero, ma non del tutto. Sicuramente entriamo in un mondo “liquido” e in evoluzione, dove i concetti tradizionali vengono piegati a logiche non tradizionali con nuovi attori e istanze controintuitive.
In fondo, ci troviamo di fronte a molte categorie, che si declinano, giocoforza, con le definizioni delle categorie tradizionali: beni immateriali, strumenti finanziari, sistemi di pagamento e altre ancora.
La verità, però, è che si tratta di un mondo virtuale che è mosso da dinamiche reali: arte, imprenditoria, letteratura, moda, speculazione, collezionismo, gruppi di persone che, per scambiare tra di loro, si servono di portafogli, anzi no portachiavi elettronici… insomma un mondo decentralizzato e deregolamentato, difficile da imbrigliare, che ragiona con le umane e tradizionali aspirazioni, idealità e pulsioni che hanno sempre governato il mondo reale.
Un dato è certo: al momento l’anonimato regna sovrano, ma non sappiamo ancora per quanto tempo.
A breve lo sapremo.
Miguel Scordamaglia e Paolo Maria Gangi
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Paolo Gangi. Avvocato in Roma
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Miguel Scordamaglia. Dottore commercialista in Torino
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