Futur car
di Giulia Zanotti
Dopo quasi un decennio di sperimentazione l’auto senza guidatore diventa una realtà. Finiti i test, già entro l’anno le prime flotte fornite da Fca e con tecnologia sviluppata da Google circoleranno nelle strade delle città americane. Un’innovazione destinata a cambiare il nostro modo di viaggiare e di concepire l’auto e che potrebbe mandare in pensione i tradizionali car sharing e professioni come meccanico e autista, con molti altri radicali cambiamenti nelle nostre città
In un film di fantascienza degli anni Settanta e Ottanta sarebbe stato il soggetto preferito: auto che si guidano da sole mentre i passeggeri se ne stanno tranquilli, in attesa di arrivare a destinazione. Ebbene, quello che fino a pochi decenni fa sembrava un futuro lontano, non solo a livello temporame ma anche tecnologicamente parlando, è diventato un presente realizzabile. Infatti il 2018 potrebbe davvero essere l’anno delle auto senza pilota.
L’annuncio arrivato lo scorso gennaio dal quartiere generale di Fca spiana la strada: è già stato firmato un accordo con la controllata di Google Waymo per fornire migliaia di ibride Chrysler Pacific da far circolare per le strade di Phoenix, in Arizona. Dei veri e propri taxi senza conducente, che possono trasportare fino ad otto persone, avviando in un sol colpo una rivoluzione non solo nel nostro modo di pensare la guida, ma anche nelle pratiche comunemente diffuse di car sharing e trasporto condiviso. Altro che Uber e Bla bla car.
Negli ultimi anni gli studi e le sperimentazioni per portare nelle vie cittadine vetture self driving, controllabili attraverso un’app, si sono susseguiti in una gara che ha coinvolto tutti i big del mercato sia delle quattro ruote che quello delle tecnologie della comunicazione più evolute.
A farla da padrone è il colosso internet Google che non ha mai nascosto l’ambizione di primeggiare nel settore. Qualcuno si ricorderà i Firefly, meglio conosciuti come gli “ovetti”. Le auto elettriche e senza pilota costruite da Google stesso e mandate in pensione lo scorso anno dopo aver siglato l’accordo con Fca. Affidatosi a chi le auto le sa costruire la multinazionale ha dalla sua il sofisticato sistema delle mappe, integrato negli anni di studi dai feedback dei test e delle opinioni di chi ha utilizzato le vetture.
Come detto però Google non è l’unico a partecipare a questa corsa. Altre 27 aziende sono impegnate nel campo della guida autonoma nella sola California, mentre Nissan ha fatto viaggiare una flotta dell’ibrida Leaf per le strade di Londra lo scorso autunno. E non mancano le diatribe, come ad esempio quella che vede Google accusare Uber di aver rubato segreti industriali. Insomma, si è creata una competitività che ha favorito lo sviluppo del settore. Quello che è il primo passaggio obbligatorio di ogni innovazione, la tecnologia, è già stato risolto: i test ha fatto registrare pochissimi incidenti tanto che in alcune strade della California le auto potranno già dalla primavera circolare senza pilota di sicurezza a bordo.
Ora c’è il secondo aspetto. Ovvero vedere come il pubblico reagirà alla novità. Secondo alcuni sondaggi il 44 per cento dei guidatori si sentirebbe poco sicuro a salire come passeggero su un mezzo che viaggia in autonomia. Ma c’è anche chi ha già chiesto se questo modello di vettura sia già sul mercato e dove si possa acquistare.
Non manca poi un’altra spinosa questione: quella legislativa. Infatti se la tecnologia è pronta bisogna vedere i governi se e come l’accoglieranno. Quali normative saranno applicate in un sistema che finora regola la guida di vetture attraverso una patente che attesti la conoscenza di un codice della strada?
Così come non si possono non considerare le ripercussioni sull’economia, tipiche di ogni innovazione di portata dirompente: cambierà il modo di costruire auto, ma soprattutto professioni come il meccanico, il tassista e l’autista potrebbero scomparire.
Il tutto proprio mentre Donald Trump punta a rilanciare gli Stati Uniti dopo la crisi attraverso il settore del manifacturing e mentre in Europa si avverte sempre di più lo stacco tra i Paesi che hanno investito nella mobilità sostenibile e condivisa e quelli che non sono ancora riusciti a fare questo salto.
Insomma, il futuro è già qua. A noi la sfida di accoglierlo.